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L'Arno dei fiorentini: i “Bagni” in Arno

L'Arno dei fiorentini: i “Bagni” in Arno

“Quel fiumicel che nasce in Falterona e cento miglia di corso no'l sazia”

Così Dante nel XIV Canto del Purgatorio descrive l'Arno.

I Romani nel 59 a.C. fondarono Florentia posizionandosi proprio sulle sponde del fiume, elemento essenziale per qualunque nucleo abitativo. Al loro arrivo i veterani di Giulio Cesare bonificarono le paludi, prosciugarono gli acquitrini, che occupavano gran parte dell'area pianeggiante intorno all'Arno e costruirono dighe e paratie per regimare il fiume. Per secoli i fiorentini hanno tratto giovamento dalle acque dell'Arno usate per molteplici scopi: urbanistici, economici, commerciali e, non ultimo, sociali. Fin dal medioevo, sulle rive del fiume apparvero mulini e gualchiere: i mulini sfruttavano l'energia delle acque per macinare il grano e produrre farina, le gualchiere servivano, mediante macchinari mossi dall'acqua corrente, a battere e pressare i tessuti di lana per renderli più sodi e morbidi al tatto.

L'industria tessile, dedicata particolarmente alla lavorazione della lana, la cui ARTE con i suoi “tiratoi” monopolizzava quasi totalmente la produzione sul territorio, rivestì un ruolo fondamentale a Firenze, contribuendo enormemente allo sviluppo economico e all'arricchimento della città.

L'Arno, essendo allora navigabile, costituiva anche una importantissima via di comunicazione, permettendo, tra l'altro, il trasporto del legname che, proveniente dal Casentino, giungeva fino al Porto alle Travi, detto anche “La Porticciola”, per essere impiegato in quelle bellissime opere architettoniche che si possono ammirare ancora oggi a Firenze.

Sul fiume, per mezzo di certi sbarramenti, si crearono in seguito le “Pescaie” non solo allo scopo di creare un bacino che consentisse un' abbondante approvvigionamento ittico per la popolazione ma anche per permettere ai “Renaioli” dotati di “navicelli”, barche di lago scafo con fondo piatto, di prelevare nei bassofondi la sabbia, elemento necessario per le costruzioni civili e viarie.

Nel corso dei secoli, l'abbondante generosità del fiume non si è fermata solamente alle tante opere che hanno prodotto benefici economici, ma ha anche permesso di svolgere, sulle sue capaci sponde sabbiose, ogni tipo di attività ricreativa, sportiva e balneare con i suoi numerosi stabilimenti.

I”Bagni” in Arno

Si ha notizia dell'esistenza di stabilimenti balneari che già dalla fine del Settecento, erano situati in diverse zone dell'Arno sia sulla riva destra che su quella sinistra.

I“bagni” erano luoghi nei quali, durante la stagione estiva, i fiorentini, di qualsiasi livello sociale, potevano trascorrere il tempo distesi al sole e rinfrescarsi con bagni ristoratori nelle allora limpide acque del fiume.

Fra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento, notizie d'epoca ci ricordano i popolari bagni della” Buca dei Cento” e del “Fiaschiaio” ambedue situati nella zona dell'attuale Lungarno Torrigiani, dove i bagnanti erano ospitati in spogliatoi comuni, divisi fra maschi e femmine e, in spazi al sole dove potevano riunirsi famiglie con bambini e ragazzi. Il costo del servizio era un quattrino per bagnarsi e un soldo per un telo per asciugarsi. Nella zona a monte, nei pressi della Torre di San Niccolò, si trovava un “bagno” ancora più popolare, “Le Molina di San Niccolò” dove sulla riva, per un gioco di correnti generate dalla vicina pescaia, si depositavano spesso maleodoranti rifiuti. Questa modesta struttura non offriva particolari servizi tanto che i bagnanti dovevano portarsi da casa tutto quanto fosse necessario all'attività balneare. “Le Molina di San Niccolò” era spesso teatro di fatti di cronaca nera: furti, baruffe e litigi, legati alla frequentazione di personaggi socialmente poco raccomandabili.

Ma non mancavano i “bagni” di livello superiore, si ricorda: “La Molina dei Renai“, che si trovava sull'attuale Lungarno Serristori, frequentato da signori e aristocratici, le persone bene dell'epoca. In questo stabilimento, ognuno disponeva di un proprio spogliatoio dove, al suo interno, trovava accappatoi, asciugamani in lino e pettini di osso di cavallo. Sedie e tavoli, per consumare quanto offriva un servizio di caffetteria, si trovavano sotto ampi tendoni bianchi e, negli spazi aperti, erano disponibili “sdraio per esporsi al sole”. Alcune stanze, ricavate all'interno della struttura, erano dotate, perfino, di ampie vasche contenenti acqua calda per bagni ristoratori nelle stagioni intermedie. A completare il servizio erano presenti: un barbiere, un parrucchiere, una manicure. Naturalmente i costi del servizio, proibitivi per la parte più povera della popolazione, erano accessibili per i tanti personaggi benestanti fiorentini e stranieri che rappresentavano l'élite della città.

Un altro “bagno” molto frequentato, “La Vagaloggia”, era situato sull'attuale Lungarno Vespucci, di fronte a Palazzo Favard. “La Vagaloggia” era uno stabilimento appartenente a una categoria intermedia posizionata fra i “bagni” popolari e quelli “aristocratici”. Esso disponeva di spazi comuni ma anche riservati, dove venivano distribuiti asciugamani e pettini che, comprendendo il bagno nel fiume, costavano all'ospite 10 quattrini.

Nel periodo storico compreso fra la fine Ottocento e i primi del Novecento, si accrebbe notevolmente la moda delle “bagnature” che condusse alla costruzione di altri stabilimenti balneari con caratteristiche sempre più avanzate.

Una legge comunale del 1913 concesse il permesso di realizzare strutture simili a quelle già presenti in Versilia ma con norme più severe e rigorose in ambito igenico sanitario. Nel solco di questa legge furono eretti “bagni” nella zona del Pignone, Gavinana, Santa Rosa e San Niccolò.

In luoghi più distanti dal centro della città viene ricordato il “bagno” “La Casaccia” in zona Rovezzano, luogo non molto sicuro dal punto di vista natatorio.

La pericolosità dell'Arno si palesava nelle zone con forti correnti e mulinelli dove i nuotatori più esperti si cimentavano in traversate sfidando il fiume. Spesso si avevano notizie di annegamenti, tanto da costringere le autorità a intervenire con avvertimenti e divieti.

Le cronache ci ricordano che alla fine del Settecento, visti i tanti annegati, il Comune istituì un premio di 10 scudi per coloro che fossero riusciti a portare in salvo nuotatori in difficoltà. La delibera comunale ebbe successo finché i salvataggi non cominciarono ad apparire troppi rispetto alle medie del passato. Un inchiesta portò alla luce accordi preventivi fra il salvatore e il salvato per riscuotere il compenso messo a disposizione, tanto che le autorità furono costrette a porre termine alla concessione del premio.

Nel 1822, stante il perdurare della situazione di pericolosità, il governo cittadino redasse un elenco di luoghi vietati ai bagni nel fiume: sotto la pescaia di San Niccolò, alla Porticciola, sotto il Ponte a Santa Trinita e in altri punti del fiume fino alle Cascine. Dai divieti rimasero esclusi gli stabilimenti balneari nei quali vigeva l'obbligo di sorveglianza e sicurezza.

Dai primi decenni del Novecento, si assistette, durante la stagione estiva, a un graduale esodo dei fiorentini più abbienti verso i lidi marini. Iniziò così una lenta chiusura degli stabilimenti balneari più titolati a esclusione di quelli popolari che cessarono progressivamente le loro stagioni negli anni 40, a causa della guerra.

Dopo il periodo bellico, negli anni 50 rinacquero i “Bagni” allestiti e organizzati dal governo cittadino. I “Bagni Comunali”, di nuova generazione, furono istituiti per andare incontro alle esigenze di svago e divertimento delle classi popolari cittadine. Le caratteristiche strutturali e organizzative erano ben diverse da quelle ottocentesche, gli spazi erano ridotti e il servizio prevedeva soltanto la possibilità di bagnarsi nel fiume con l'assistenza costante dei bagnini.

I “bagni” sulle rive del fiume si presentavano con pontili di legno, coperti da bianchi tendaggi, protesi di alcuni metri sull'acqua, su i cui bordi era posto un basso trampolino per i tuffi. Ai lati della banchina era ancorata una barca pronta per gli eventuali salvataggi. I bagnini, dipendenti comunali, provvedevano a assegnare le cabine e consegnare i salvagente a coloro che lo richiedevano, vigilando, davanti allo specchio d'acqua, sullo svolgimento delle attività natatorie. Lo spazio per il nuoto era delimitato da corde, oltre le quali era severamente vietato inoltrarsi pena una multa e l'allontanamento dallo stabilimento.

Uno dei Bagni comunali più conosciuto era situato nel tratto di fiume prospiciente l'attuale Piazza Piave dove oltre ai bagni, era possibile noleggiare una barca e fare uno spuntino. Altri si trovavano principalmente a monte del Ponte San Niccolò sulle rive di Rovezzano e quelle dell'Albereta. La loro esistenza si protrasse ancora per qualche anno per poi terminare alla fine degli anni 60, complice la disastrosa alluvione.

Testo di Silvano Caciolli

Cose da fare a Firenze