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Firenze e i venditori di strada

Firenze e i venditori di strada

Nel Novecento, fino alla prima metà del secolo, nelle fiere, oltre ai venditori fissi con i loro banchi, gravitavano i "venditori di strada" che approfittavano della moltitudine di visitatori per fare qualche affare. In assenza di fiere e sagre, i venditori di strada erano soliti girare a piedi o con piccoli mezzi, fra i quartieri della città, offrendo oggetti di uso comune e piccole riparazioni. Alcuni di loro, ancora oggi, sono ricordati per i loro tradizionali commerci e lavori artigianali. Ne elenchiamo alcuni:

L'arrotino

L'arrotino, con le sue grida, richiamava l'attenzione dei cittadini offrendo loro l'affilatura di coltelli, forbici ed altri arnesi da taglio. Egli era munito dapprima di una carriola azionata a pedale con la mola messa in movimento tramite una cinghia, in seguito di una strana bicicletta che, posta sul cavalletto e pedalando, metteva in movimento la mola posizionata sul manubrio.

L'ombrellaio e sprangaio

L'ombrellaio e sprangaio si annunciava nelle strade come aggiustatore di ombrelli, sostituendo stecche e manici. Si offriva inoltre come riparatore di terraglie e catini, usando le "spranghe", cuciture di filo di ferro per tenere insieme le due parti rotte.

Lo stagnino

Lo stagnino era particolarmente richiesto dalle donne, che gli affidavano pentole, tegami e padelle da riparare. Lo stagnino era un saldatore a stagno che svolgeva la sua attività in strada ma spesso veniva chiamato anche nelle case per riparare tubi rotti o grondaie forate.

Il seggiolaio

Il seggiolaio, munito di un grosso ago di legno e fasci di paglia di fiume, si posizionava agli angoli delle strade per riparare le classiche sedie di legno con la seduta impagliata che si era sfilacciata o nei casi più gravi, sfondata. Il seggiolaio prendeva ordinazioni anche per vendere sedie nuove, che nella maggior parte dei casi erano di sua produzione.

Il duraio

Il grido che echeggiava per le strade del centro faceva più o meno così: "Duri di menta, duri!" ed era una gioia per i più golosi. Si ricorda un simpatico venditore che, durante un passaggio sul Ponte Vecchio, incrociò una signora con il suo bambino. La donna, alla richiesta insistente del piccolo di avere un duro di menta, oppose il suo diniego motivandolo con il fatto che egli non era bravo a scuola. A questo punto intervenne il duraio, che con sarcasmo esclamò: "Allora duro, duro!". Il duraio girava con una cesta o tavoletta a tracolla ed esponeva i bastoncini di zucchero lavorato a caldo di differenti colori: a ogni colore corrispondeva un gusto. Per testarne l'autenticità si doveva misurarne la consistenza: "più il duro era duro e più durava".

Il trippaio

Il trippaio è sempre stato il mestiere da strada più caratteristico della nostra città. Sappiamo che nell' '800, all'interno del Mercato Vecchio, i trippai che anticamente facevano parte della corporazione dei Beccai, avevano numerosi punti vendita. Essi provvedevano in tre fasi alla lavorazione dei due quarti dello stomaco del bovino macellato: pulitura, sgrassatura e bollitura. Da tale operazione si ottenevano il lampredotto e la trippa, che venivano esposti nei banchi di vendita e offerti al pubblico caldi e con un pizzico di sale. La trippa si vendeva anche in strada, nelle vie centrali della città e in particolare nei rioni di là d'Arno. In passato il carretto era il mezzo di vendita più utilizzato dall'ambulante, poi sostituito dal triciclo, quindi da una motoretta e infine, come vediamo ancora oggi, da postazioni stabili e organizzate. A conferma di questa nostra antica tradizione, merita di essere ricordato questo significativo spaccato sui trippai, tratto dal "Quartiere" di Vasco Pratolini:

"Il trippaio è davanti al suo carretto; fuma nella vaschetta il lampredotto appena bollito; gli si affollano intorno i garzoni del Quartiere col pane croccante fra le mani, per la prima colazione: si puliscono le dita sul fondo dei calzoni per servirsi un pizzico di sale".

Il semellaio

Il semellaio era il venditore ambulante di panini all'olio caldi appena sfornati. Il semelle era un panino che si distingueva per la specifica forma semi circolare con un taglio centrale. E' inutile dire che la forma del panino richiamava un'immagine particolare per cui da tanti del popolo era chiamato con l'appellativo "passerina". Il semellaio, prevalentemente soggetto giovane e aitante, compiva il suo giro di prima mattina, fra le strade del centro, spingendo un piccolo carretto. Il giovanotto dava fiato alla propria ugola per richiamare l'attenzione di chi si apprestava a consumare la rituale prima colazione. Non tutti erano solerti a buttarsi giù dal letto. Si racconta infatti che un mattino, il giovane che era solito gridare: "Sveglia ce l'ho con l'olio", ricevette una risposta proveniente da una finestra: "e io ce l'ho con la ma...la di to mà che t'ha mandato fori a quest'ora". Questo aneddoto attesta ancora una volta lo spirito brillante dei fiorentini che non perdono mai occasione per dimostrare la loro vocazione alla battuta pronta.

Il venditore di raveggioli

Forse qualcuno ancora si ricorda di un signore alto e magro che in sella ad una bicicletta con i "freni a bacchetta", dotata di un portapacchi posteriore sul quale era posata una cassetta, percorreva le vie del centro gridando con voce secca e scattante: "Raveggioli freschi e belli, raveggioli freschi e boni". Il raveggiolo, che l'ambulante offriva durante i suoi giri, è un formaggio fresco ricavato dalla produzione residuale della ricotta. L'alimento era povero ma abbastanza gradevole ed aveva il vantaggio di essere molto economico. I veri affari infatti, si facevano nei quartieri più popolari.

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