Non sono passati molti anni da quando nel giorno dell'Ascensione, in occasione della tradizionale "Festa del Grillo", una moltitudine di fiorentini si spostava, a piedi e con ogni altro mezzo di locomozione, in direzione delle Cascine percorrendo tutte quelle strade che convergono verso il parco. I ricordi di quelle immagini, sono ancora vivi nella memoria di tante persone. Fino a pochi decenni fa, già all'alba si vedevano sui Lungarni gruppi di intere famiglie che, camminando passo passo con allegria e spensieratezza, si apprestavano a compiere la tradizionale scampagnata collettiva all'aria aperta assieme a tanti altri concittadini negli estesi prati e boschi che il millenario parco metteva loro a disposizione. Fra i partecipanti non mancavano molti giovani che, approfittando della festa, si recavano alle Cascine baldanzosi nella speranza che si avverasse il tanto atteso incontro con la desiderata anima gemella. Era d'uso portarsi qualcosa da mangiare preparato a casa: gli appetitosi cibi casalinghi, l'immancabile fiasco di vino ed altre vettovaglie, riposte in sporte o ceste di vimini annodati alle cocche con fazzoletti quadrettati rossi o blu da dove spuntavano tegami, piatti, bicchieri, la colorata tovaglia da stendere sull'erba e quant'altro necessario al "desinare", come si diceva allora, o al "picnic", come diciamo oggi. Molti si munivano della tipica "gabbietta per il grillo" acquistata nelle cartolerie, ma soprattutto in una rivendita di giornali di via dei Tavolini, dove il titolare si distingueva per la costruzione di fantasiose gabbiette di saggina o legno in varie fogge e colori, pronte a ricevere il piccolo inquilino canterino che, ignaro della sua sorte, se ne stava tranquillo a brulicare nel suo habitat naturale. Il grillo era la preda ambita da tutti, in particolare dai bambini, che, una volta sui prati del parco, si davano un gran d'affare per catturarlo ed esibirlo. Naturalmente esso, con il suo bel collarino giallo, doveva avere qualità canore e il suo "cri cri" classificava l'abilità dei piccoli cercatori. Chi non avesse avuto la capacità o la pazienza di catturarne uno, poteva facilmente acquistarlo dai "Grillai". I venditori offrivano le loro gabbiette variopinte e mostravano i corbelli con il loro contenuto di grilli canterini che all'interno, numerosi, brulicavano fra le foglie di lattuga. I Grillai richiamavano l'attenzione dei passanti al grido di "sentite come cantano!", "i miei son tenori!", "e l'è il migliore canterino di' mondo!". Non potevano mancare giovanotti e ragazze che, con il pretesto di cercare il grillo, s'appartavano nei boschetti allontanandosi dall'assillante controllo delle mamme. A sera, finita la giornata, molti fiorentini tornavano a casa con il grillo, "perché portava bene" e appendendo la gabbietta alla finestra, lo sollecitavano a cantare con leggeri colpi delle dita. Immancabilmente il concerto dei "cri cri" si propagava per tutta la notte in tutti i quartieri della città, dando la sensazione di trovarsi in un immenso campo verde, per la gioia dei bambini e un po' meno per coloro che avrebbero voluto riposare. Spesso i grilli, nella nostra storia passata e recente, sono stati oggetto di citazioni: il "grillo parlante" di Pinocchio, il "grillo canterino" della radio. Ma il "Liogryllus campestris", il vero grillo di cui si parla, è un invertebrato del genere degli Ortotteri, famiglia dei Grillidi. Vive nei prati, nelle radure e nei giardini. Si ciba di foglie, di semi e frutti, possiede lunghe antenne ed ha gli arti posteriori ben sviluppati adatti al salto. In Maggio, la stagione degli amori, il grillo maschio uscito dal suo piccolo rifugio, si esibisce nelle ore notturne con il suo monocorde "cri cri", provocato dallo sfregamento delle ali inferiori e superiori, per attirare le femmine con le quali accoppiarsi. Nei tempi passati, il grillo campestre era considerato dal popolo il simbolo del ritorno della stagione primaverile, portatore di lieti eventi, di ricchezza, di fortuna e di prossime nozze. Sembra sia questo il motivo che ha dato origine a Firenze alla tradizionale festa, successivamente accostata a quella religiosa dell' Ascensione di Cristo in cielo dopo quaranta giorni dalla Sua Resurrezione, volendo così indicare "Maggio" come il mese del risorgere, del rifiorire, del rinascere, dell'eterno perpetuarsi dell'infinita bellezza ed armonia della natura.
Il 18 Maggio del 1969 Firenze, prima nel mondo per l'arte, la cultura, la bellezza, conferma il suo primato anche nello sport Italiano, vincendo per la seconda volta, dopo quello del 1956, lo scudetto nel campionato di calcio 1968/1969. Quando alla trentesima e ultima giornata di campionato a scudetto già conquistato, Tavares da Silveira Amarildo al 38' del secondo tempo, mette nel sacco la rete del 3 a 0 contro il Varese, nello stadio comunale fiorentino, dove sono presenti ben 65.000 spettatori con decine di migliaia fuori dai cancelli, si consuma una delle più belle e indescrivibili scene di giubilo che culminano dopo il fischio finale dell'arbitro Pieroni di Roma, con l'invasione di campo da parte di decine e decine di spettatori desiderosi di esternare la loro incontenibile gioia nei confronti dei protagonisti: i giocatori viola e il loro allenatore, abbracciandoli e ringraziandoli per la loro bellissima e inaspettata impresa. E' tutto uno sventolio di bandiere viola e il vessillo gigliato sulla torre di maratona si stende al vento più grande di sempre. La città è in subbuglio, nel tripudio generale lunghe file di macchine, motorini, biciclette e cortei ininterrotti di pedoni, sciamano per i viali e le strade della città al suono di clacson, fischietti, tamburi e grida. L'esultanza del popolo viola si manifesta a lungo con festeggiamenti che si protrarranno fino a tarda notte. In seguito, per giorni e giorni, si moltiplicaranno le iniziative per invitare i giocatori a partecipare ad incontri e feste da parte di varie associazioni sportive, dal Centro di Coordinamento dei Viola Club compresi gli storici Viesseux e 7Bello e pure da organizzazioni a carattere istituzionale. In realtà l'inizio del campionato per la Fiorentina non fu esaltante, incappando il 3 Novembre del '68 nell'unica sconfitta stagionale con l'1-3 interno subito dal Bologna. Tuttavia i viola riuscirono a recuperare terreno nei confronti del Milan di Gianni Rivera e del Cagliari ma non evitarono che la squadra di Gigi Riva vincesse il titolo d'inverno il 26 Gennaio del '69. Nel girone di ritorno i viola continuarono a lottare con i rossoblu e i rossoneri fino a compiere il sorpasso ai danni delle rivali il 9 Marzo alla 21° giornata con la vittoria in casa contro il Lanerossi Vicenza per 3-0 con doppietta di Chiarugi e rete di Maraschi. La vittoria ed il sorpasso, è proprio il caso di dirlo, misero le ali ai piedi alla Fiorentina che per le nove successive partite di campionato rimase sempre in testa alla classifica fiaccando definitivamente la resistenza delle avversarie. La ciliegina sulla torta, fu messa alla 29° e penultima giornata, quando in casa della Juve, avversaria di sempre, i viola conquistarono anzitempo lo scudetto, trionfando con un secco 2 - 0, reti di Mario Maraschi e del virtuosissimo funambolo "Cavallo Pazzo" Luciano Chiarugi, davanti a 10.000 tifosi fiorentini in delirio, accorsi allo stadio Torinese. Mario Maraschi fu il capocannoniere della squadra con 14 reti e finì al quarto posto della classifica marcatori dopo Gigi Riva del Cagliari, Anastasi della Juventus e Bui del Verona. Questa la formazione della Fiorentina Ye-Ye, come veniva chiamata allora: Superchi; Rogora, Mancin; Esposito, Ferrante, Brizi; Chiarugi, Merlo, Maraschi, De Sisti, Amarildo. Vogliamo ricordare che in quella stagione i dirigenti, per loro stessa ammissione, avevano progettato la costruzione della squadra proiettata più sul futuro che sul presente, per la scelta di attuare una politica di rinnovamento puntando molto su giovani e giovanissimi. Ma evidentemente la sagacia e l'intuito del presidente Nello Baglini e dei suoi collaboratori contribuirono ad anticipare i tempi. Le ragioni del successo furono molteplici: quella di dare l'incarico di allenatore al "Petisso" l'argentino Bruno Pesaola, reduce da un bel secondo posto con il Napoli nella stagione precedente, di acquistare il forte centrocampista Francesco Rizzo, di affidare la regia in campo a un capace "maggiorenne" come Picchio De Sisti, che all'epoca aveva poco più di venticinque anni, di lanciare il giovane portiere Franco Superchi, acquistato due anni prima da una squadra di serie C e passato titolare dopo la cessione del forte Enrico Albertosi, di confermare giocatori esperti come il centravanti Mario Maraschi, il terzino Bernardo Rogora, il mediano Giuseppe Brizi e la fortissima estrosa ala, il brasiliano Amarildo. La scelta poi rivelatasi decisiva, fu quella di insistere nei giovanissimi Merlo, Chiarugi, Esposito, Mancin e Ferrante, a dimostrazione che all'epoca si potevano compiere imprese eccezionali non accreditate alla vigilia, anche senza grandi campioni e fuoriclasse, ma con un buon uso dell'intelligenza e dell'umiltà, doti delle quali si avvalsero appieno tutti i componenti della società viola. Non dobbiamo dimenticare l'apporto dei tantissimi tifosi che per tutto il campionato sostennero la squadra in casa e in trasferta con quel fantastico entusiasmo erogatore di una spinta propulsiva positiva e vincente. Lo scudetto del 1969, per come fu conquistato, rimane e rimarrà per sempre un ricordo indelebile nel cuore di tutti gli appassionati viola. Nell'articolo non abbiamo parlato dell'altrettanto straordinario primo scudetto, vinto nel 1956. Non è una dimenticanza. La stagione calcistica si concluse il 3 di giugno ed è appunto nella prossima rubrica "Accadde in Giugno" che ne parleremo.
Firenze, la città dei fiori per eccellenza, celebrava il calendimaggio, dal latino antico Kalendis maii, con speciali festeggiamenti che iniziavano il 1° Maggio per protrarsi fino alla fine del mese. La festa aveva origini pagane ed era dedicata all'"esplosione" della primavera. Molti ricordi, quelli più documentati, iniziano dal Medioevo. Boccaccio nel XIV° secolo, nella sua opera "Vita di Dante", apre con questa bellissima introduzione: "Nel tempo del quale la dolcezza del cielo riveste de' suoi ornamenti la terra, e tutta per la varietà de' fiori mescolati fra le verdi fronde la fa ridente, era usanza della nostra Fiorenza e degli uomini e delle donne, nelle loro contrade ciascuno in distinte compagnie festeggiare". Così, i primi giorni di Maggio, sospesa ogni attività lavorativa, i Fiorentini davano inizio a sfilate e cortei per le vie della città in un contesto allegro e spensierato che culminava con le "maggiolate", feste di suoni, canti e balli che si svolgevano durante "il passeggio" in tutti i quartieri. Gruppi di giovanotti accompagnati da "orchestrali e teatranti" mettevano in atto cantiche e recite dirette alle tante fanciulle le quali, cinte di ghirlande con rose ginestre e giaggioli, accettavano di buon grado i cortesi richiami, improvvisando a loro volta piccoli rondò e allegri ritornelli. Nelle feste del Calendimaggio era anche d'uso che i giovani appendessero alla finestra dell'amata un ramoscello fiorito e infiocchettato per dimostrarle il proprio amore. Fra danze e canti popolari veniva eletta la "Regina del Maggio" che, con in testa una corona di fiori, si recava presso le fanciulle fidanzate cantando versi augurali e consegnando loro piccoli doni. Come nel Medioevo anche nel Rinascimento durante tutto il periodo di Maggio sia gli uomini che le donne si abbigliavano a festa. Gli uomini più maturi e più rappresentativi portavano una sopravveste di panno rosso o nero, abbottonato davanti, libero senza cintura e a manica larga. Il cappello a cappuccio ampio di lana o di broccato era a guisa di corto turbante. I più giovani indossavano un corpetto corto fino alle anche, di stoffa pesante o leggera secondo la stagione, con maniche di stoffa o broccato, cintura alla vita e calzamaglia in vari colori. Il cappello era di lana o di feltro, a tesa stretta. Le donne, mostravano un'eleganza più accurata. Gli abiti femminili erano foggiati da vesti attillate, lunghe fino ai piedi, chiuse da stringhe sul davanti che lasciavano intravvedere la candida camicia sottostante. Lo scollo era ampio e mostrava generosamente il solco verticale che separava il petto, naturalmente molto apprezzato dagli uomini. Le fiorentine erano solite dire "se l'occhio non vede, cuore non sente". La sopravveste, lunga anch'essa fino ai piedi, era intessuta di stoffe pesanti o leggere a seconda della stagione, ma comunque raffinata con ornamenti impreziositi da decorazioni in filo d'oro o d'argento che distinguevano le "Madonne" nobili dalle popolane. Le maniche in lana o seta erano ampie e staccabili, con ricchi o semplici ricami per consentire di indossare l'abito con più frequenza e in tutte le stagioni. Le donne comunemente non portavano cappelli, e mostravano i loro capelli fluenti che scendevano morbidi sulle spalle, impreziositi da fermagli o raccolti da retine di filo d'oro. Nel corso della storia, il Calendimaggio, come abbiamo detto, è sempre stato sinonimo di festa e di avvenimenti. Si ricorda l'incontro di Dante con Beatrice nel Calendimaggio del 1274, ma non dobbiamo dimenticare quello nefasto del 1300, quando i giovani dei Cerchi e dei Donati vennero a contesa dando inizio ai tragici scontri fra Bianchi e Neri che tanto sangue fecero scorrere per lungo tempo nella città. Nel periodo Rinascimentale, anche i Medici con il Magnifico Lorenzo e la sua corte partecipavano, alle feste scrivendo laudi e poesie. Dopodiché nei secoli successivi, il Calendimaggio perse una buona parte dei connotati tradizionali che lo avevano contraddistinto. Alcuni riti popolari tipici della festa si mantennero, ma altri furono demandati alle cosiddette "Potenze", organizzazioni di feste rionali ideate dalle corti granducali, e spostati nei mesi estivi. A partire dalla fine dell'Ottocento con l'istituzione mondiale del 1° Maggio Festa del Lavoro, il Calendimaggio è stato quasi definitivamente accantonato ma non dimenticato. Infatti ancora oggi in piccole realtà locali come Firenzuola e Barberino del Mugello, viene ancora celebrato con rappresentazioni che ricalcano le antiche tradizioni: canti balli e sfilate in costume d'epoca, pervase da una atmosfera intrisa di allegria e serenità.
Sul finire del Ottocento l'Italia, facendo proprie le conclusioni del congresso della Seconda Internazionale Socialista e dei Labour, svoltasi a Parigi il 20 Luglio 1889, aderì alla decisione di istituire la Festa del Lavoro, fissando la data al 1° Maggio 1890. L'iniziativa di riservare una giornata di festa e di riflessione ai lavoratori, soprattutto agli operai delle fabbriche, fu presa negli Stati Uniti d'America, Stato dell'Illinois, intorno al 1865, da due delle più importanti organizzazioni dei "Labour": "La Knights of Labor" e la "National Labor Union". Esse, nel corso degli anni successivi, ritenendo non fosse più accettabile il disumano orario di lavoro imposto alle maestranze dagli imprenditori, fissato intorno ad un minimo di 12 ore al giorno, mobilitarono la classe operaia organizzando giornate di sciopero allo scopo di ottenere la riduzione dell'orario e portarlo al limite delle 8 ore a parità di salario. In una di queste manifestazioni, svoltasi a Chicago nei primi giorni di Maggio del 1886, numerosi operai della fabbrica di macchine agricole Mc Cormick scesero in piazza protestando, oltre che per l'orario, anche per le precarie condizioni di vita all'interno della fabbrica. Durante la protesta svoltasi in Haymarket Square, la polizia aprì il fuoco senza motivo uccidendo due operai e ferendone altri. Due giorni dopo, a seguito di questo episodio, i sindacati indissero imponenti manifestazioni di protesta nelle piazze, coinvolgendo centinaia di migliaia di operai di tutte le fabbriche disseminate nelle più importanti contee dell'Illinois. A Chicago durante un comizio di fronte a centinaia di lavoratori da una strada laterale venne lanciata una bomba a mano che colpì un folto gruppo di poliziotti che si erano avvicinati al palco. Sei di loro rimasero uccisi e cinquanta furono i feriti. La polizia intervenne all'istante aprendo il fuoco sui manifestanti uccidendone un alto numero che non verrà, stranamente, mai quantificato. Le autorità per quanto accaduto, dettero vita con grande celerità ad un processo che vide alla sbarra otto anarchici sospettati di avere compiuto l'atto efferato. Nel corso del dibattimento gli imputati si dichiararono innocenti, presentando alibi consistenti. Ma ciò non fu sufficiente. Cinque di loro furono condannati a morte, due ebbero l'ergastolo ed uno fu condannato a 15 anni di reclusione. Le condanne a morte tramite impiccagione furono eseguite l'11 Novembre del 1887. In realtà il processo si svolse in un clima ambiguo, non furono prese in considerazione alcune testimonianze favorevoli agli imputati ed alcuni testimoni dell'accusa caddero in numerose contraddizioni, tanto da fare nascere molti dubbi su chi avesse lanciato la bomba. Le condanne provocarono numerose proteste in tutto il mondo che sfociarono in mobilitazioni e iniziative da parte delle più importanti organizzazioni sindacali fra le quali la potente "American Federation of Labor" che insieme ai Labour di molte altre nazioni chiesero con forza di dedicare ai lavoratori un giorno di riflessione e di lotta per l'ottenimento delle proprie istanze ed a ricordo dei tragici fatti di sangue. Come già detto all'inizio, il 20 Luglio 1889 a Parigi, durante il congresso della Seconda Internazionale, i partecipanti fecero propria la richiesta dei Labour, decidendo positivamente. La scelta della data cadde proprio sul giorno in cui gli eventi si verificarono, fissandola al 1° Maggio 1889. La risoluzione fu condivisa dalla stragrande maggioranza dei Paesi democratici del mondo, fra cui l'Italia.
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