La "Rificolona",
lo "Scoppio del Carro", "i fuochi di San Giovanni" e "la
festa del Grillo" sono le quattro feste più amate e più vissute
dal popolo fiorentino.
La "Rificolona" si svolge ogni anno, come da tradizione, la
notte del
7 settembre in
Piazza SS. Annunziata
alla vigilia della ricorrenza della
natività
della Madonna.
La bellissima piazza ebbe la sua definitiva celebrità a partire dal
1252, anno in cui si compì il noto miracolo del dipinto
dell'Annunciazione, avvenuto all'interno dell'allora piccolo oratorio
del
Servi di Maria poi trasformato nei secoli successivi nella
attuale Basilica della SS. Annunziata. A seguito di tale miracolo
ebbero inizio innumerevoli pellegrinaggi dedicati al culto Mariano,
soprattutto il 25 Marzo (Annunciazione) e l'8 Settembre (Natività
della Vergine) con l'arrivo di migliaia di fedeli provenienti da ogni
luogo. Nel XIV° secolo, il sempre più numeroso afflusso dei
pellegrini che si recavano all'Oratorio, obbligò le autorità della
Repubblica fiorentina a dotare la piazza, che allora non era altro
che un esteso campo da pascolo, di alcune strutture coperte affinché
i devoti potessero ripararsi dalle intemperie e dal freddo della
notte.
Ma gli interventi architettonici più significativi si
ebbero a partire dal XV° secolo con la realizzazione definitiva
della Basilica e dei tre loggiati. All'inizio del XVII° secolo fu ulteriormente ampliato
il portico antistante la Basilica così come oggi lo ammiriamo. Una
parte consistente di pellegrini che si raccoglieva sotto i loggiati
della Piazza nella tarda sera del 7 Settembre in attesa della
riapertura all'indomani delle porte della Basilica, proveniva dalle
tante terre confinanti. Si trattava di contadini "campagnoli",
come li chiamavano i fiorentini di allora. Essi arrivavano da
Impruneta, da Vallombrosa e perfino dalla montagna Pistoiese e dal
Casentino. Per molti di loro l'intento, oltre a quello di omaggiare
la Vergine, era di carattere pratico, ovvero approfittare
dell'occasione per vendere i propri manufatti come panni, trine,
filati e prodotti della terra, in particolare fichi e funghi secchi,
oltre a civaie e legumi in genere. La partenza dei "campagnoli" dai luoghi di residenza avveniva di notte, con largo anticipo, anche
per potere disporre di un buon posizionamento all'arrivo per vendere
al meglio la loro mercanzia. Poiché a quei tempi l'illuminazione
pubblica era fornita solo di tanto in tanto dalla benevolenza della
luna, i contadini si mettevano in viaggio per Firenze portandosi
appresso bastoni con appesi alle estremità lumi ad olio
improvvisati, che fornivano un po' di luce durante il cammino. E
furono proprio quei lumi a stuzzicare la fantasia dei giovani
fiorentini che, per canzonare i "campagnoli", iniziarono a
imitarne le gesta andando loro incontro muniti di canne con
penzolanti festoni di carta variopinta, ispirati alle forme rozze e
goffe delle donne contadine che le candele accese all'interno
mettevano ancor più in evidenza. Ma i giovanotti fiorentini non si
limitavano soltanto a "scimmiottare" le lanterne contadine, ma
addirittura a tentare di distruggerle lanciando contro di esse fette
di cocomero e resti di altri frutti non interamente consumati. L'
abituale incedere barcollante, l'abbigliamento rustico, in
particolare delle donne, senza garbo né grazia; ( tanto che ancora
oggi si dice in tono canzonatorio: bellina! pare una rificolona),
erano il pretesto per i giovani fiorentini già per natura
predisposti al motteggio e allo scherzo, ad intonare cori
canzonatori, fischi, grida e salaci commenti indirizzati ai coloni e
soprattutto alle procaci ragazze "campagnole" per i loro
abbondanti seni e i larghi fianchi. Sembra che proprio la loro
floridezza "posteriore" abbia dato origine alla parola
rificolona
composta da due parole "fiera" e "culona", "fiericulona" poi "fiericolona" ed in seguito per corruzione rificolona. Naturalmente i
malcapitati paesani ,fidanzati e mariti anche a causa del loro "spaesamento", non erano in grado di replicare e se ne stavano in
silenzio costretti a sopportare. Ancora nell'Ottocento la festa era sentita e la
tradizione continuava il suo corso. Ma proprio verso la metà del secolo un delitto, causato
dall'eccessiva permissività e tolleranza di cui godevano i
cittadini durante la festa, obbligò le autorità a prendere
drastici provvedimenti regolamentando in senso restrittivo lo
svolgimento della manifestazione. Ciò portò alla perdita di
interesse e alla quasi scomparsa della ricorrenza ludica, rimanendo
però sempre attiva quella religiosa. Nell'ultimo dopoguerra la festa riprese vita. Molti
quartieri si organizzarono per riportare in auge questa antica
fiorentinissima tradizione. Così la sera del
7 Settembre in tutti i
rioni per la gioia di grandi e piccini tornarono le rificolone. Non
erano più quelle dell'Ottocento, rimaste pressappoco quelle dei
secoli precedenti, queste erano più fantasiose e fatte con materiali
più resistenti. Molti genitori provvedevano essi stessi alla loro
costruzione sotto lo sguardo compiaciuto dei piccoli che non vedevano
l'ora di poterla esibire. La composizione delle "lanterne" era
formata da un telaio di legno leggero, di canna o filo di ferro,
avvolto da carta abbastanza consistente, a volte oleata, con forme e
colori vivaci. Al calare della sera si accendevano le candeline
dando vita a: soli, lune, mezzelune, galli, galline, casette, fette
di cocomero, e varie altre fantasiose figure. Rispettando i riti
degli allegri giovanotti fiorentini del passato, gruppi di ragazzi
assai agguerriti muniti non di fette di cocomero ma di cerbottane
fatte da loro stessi, composte da uno stretto tubo di canna o di
ferro con mollette per i panni a mo' di impugnatura, caricate con
piccoli cartocci di carta appuntita da stucco o argilla, prendevano
di mira le luminarie colorate che si trovavano a passare tentando di
centrarle. Molto spesso quelle colpite si incendiavano per la
disperazione dei piccoli e gli improperi dei genitori che invano
cercavano di acchiappare il "cecchino", colpevole ma in cuor suo
soddisfatto. Oggi pur proseguendo la tradizione festaiola, quasi più
nessuno costruisce le rificolone. Nella maggior parte dei casi, le
lanterne vengono importate dalla Cina e vendute a costi molto bassi
tanto da essere considerate usa e getta. Non essendoci al loro
interno le tradizionali candele ma lampadine alimentate da piccole
batterie elettriche, finisce anche il divertimento dei ragazzi "incendiari" che non potranno più sollazzarsi a danno dei più
piccoli e dei loro genitori. Nonostante
i naturali cambiamenti dovuti al tempo che passa, la
Rificolona;
così una volta veniva definita la donna che la portava mentre oggi
il riferimento è alla lanterna stessa, continua ad essere
festeggiata nei rioni, organizzata da circoli comunali e privati. Il
7 di Settembre sulle facciate di molte case fiorentine vengono
appese
rificolone alle finestre e sono sempre tante le sfilate dei
piccoli che esibendo la canna con la lanternina colorata non
mancano di prodursi in allegria intonando la proverbiale cantilena.
"Ona,
ona, ona ma che
bella
rificolona, la mia l'è co' fiocchi la tua l'è co' pidocchi". A Settembre, in Piazza della SS.Annunziata, oltre alle
solenni funzioni religiose all'interno della Basilica in onore della
Vergine, si svolge la "Fierucola del
pane", e così come in passato, gli agricoltori offrono ai cittadini i
prodotti della terra, strettamente biologici, nella loro tradizione
contadina.
Quel giorno di settembre del 1593, il granduca Ferdinando I° dei Medici non è di buon umore. Per l'ennesima volta mentre percorre il Corridoio, costruito dal Vasari, proveniente dai suoi appartamenti di Palazzo Pitti, viene investito dal fetore insopportabile che sale dal sottostante Ponte Vecchio. Le esalazioni sono causate dalle carni che i beccai (da becco, maschio della pecora), lavorano e macellano, con poca osservanza delle regole, dinanzi alle loro botteghe e dal pesce che nell'attigua e omonima piazza, i pesciaioli, operanti sui banchi all'aperto, tagliano e spinano destinando i rimasugli, insieme a quelli della carne, alle placide ma non proprio olezzanti acque dell'Arno. Affrettando il passo, il Granduca giunge nel suo studio del Palazzo della Signoria ed emette immediatamente un editto nel quale si sancisce che tutte le attività delle "Arti vili" operanti sul ponte e zone attigue debbano essere spostate altrove. Ferdinando con quell'editto non volle soltanto eliminare i miasmi rilasciati in tutta l'area e nelle zone circostanti, ma anche riconsegnare al Ponte Vecchio e quindi alla città intera la dignità, il decoro ed il prestigio che, per la sua storia ed il suo valore architettonico, esso meritava. Palazzo Pitti, dimora privata del Granduca era, come comprensibile, meta di visite da parte di famiglie reali, dell'alta nobiltà e della borghesia più rappresentativa nazionale ed internazionale data l'importanza del titolo che Ferdinando possedeva. Il passaggio, sull'antico e glorioso Ponte Vecchio, doveva essere vissuto in una atmosfera di tale attrattiva da suscitare espressioni di ammirazione e meraviglia. Quindi cosa meglio dell'oro, dell'argento, delle pietre preziose, potevano adornare quelle botteghe lungo i due lati del ponte, accese e illuminate dai bagliori delle gemme e dallo splendore dei metalli? Il Granduca decise allora che tutti gli orafi, che in quel momento occupavano con i loro laboratori e botteghe la zona di Porta Rossa dove venivano esposti e venduti la maggior parte dei preziosi manufatti, prendessero possesso dei piccoli locali sul Ponte Vecchio e a partire da 2 Maggio del 1594, iniziassero la loro attività. Fu questa la giusta soluzione che il ponte e la città meritava. Da allora fino ad oggi il binomio Ponte Vecchio - gioielli è rimasto e rimarrà strettamente inscindibile. Ma quale fu la nuova destinazione dei beccai e dei pesciaioli, con i loro banchi? Essi furono di nuovo trasferiti al Mercato Vecchio (ora Piazza della Repubblica) in una sorta di rendez-vous, poiché già vi si trovavano prima del 1442, anno in cui alcune famiglie nobili ed evidentemente potenti, residenti in palazzi nella zona confinante con il mercato, non gradendo i forti odori delle macellazioni, avevano ottenuto dalle autorità l'allontanamento dei "vili artigiani" e il loro trasferimento coatto sul Ponte Vecchio. Probabilmente i motivi di questa decisione furono due: l'ubicazione del Ponte, situato allora ai margini del centro storico vivo e pulsante, quindi meno frequentato dalla nobiltà che contava, e la possibilità di espellere i residui e gli scarti delle lavorazioni nelle acque dell'Arno che, da quel momento non sarebbero state più quelle che fino allora molti poeti avevano esaltato. Tutti i problemi legati alle attività dei beccai e dei pesciaioli continuarono a manifestarsi nei secoli successivi, nonostante venissero spesso promulgate nuove leggi e regolamenti al riguardo. Ma la svolta si ebbe nel periodo "illuminato" dei Lorena, quando il I° Ottobre del 1838, sotto il governo granducale di Leopoldo II°, fu creato il primo grande macello pubblico cittadino nei pressi dell'attuale Piazza Verzaia in San Frediano. Con questa istituzione si arrivò finalmente ad organizzare al meglio l'approvvigionamento delle carni di mercati e botteghe, un regolare smaltimento degli scarti e dei rifiuti, mettendo fine ad una situazione disastrosa per la scarsa regolamentazione e la mancanza delle più elementari norme igieniche.
Il
10 Settembre del 1854
alla presenza delle più alte autorità fiorentine del Granducato, fu
inaugurato il
Teatro
Pagliano
che in seguito prenderà il definitivo nome di Teatro
Verdi.
L'inaugurazione
avvenne con
la rappresentazione dell'opera lirica Verdiana Viscardello poi
chiamata Rigoletto. Il nome Pagliano deriva da Girolamo Pagliano, cantante
lirico nonché facoltoso imprenditore, inventore di un famoso
sciroppo purgativo chiamato "Elisir di lunga vita". Pagliano diventò proprietario dell'attuale edificio di
Via Ghibellina nel 1851, acquistandolo da alcuni privati fiorentini
che alcuni anni prima, dal trecentesco complesso carcerario delle
Stinche e da alcuni lavatoi dell'Arte della Lana vi avevano ricavato
un grande ambiente polivalente racchiuso nell'attuale rettangolo di
Via Verdi, Via dei Lavatoi, Via dell'Isola delle Stinche e Via
Ghibellina. Pagliano, forte della grande passione per il melodramma
e constatando che fino allora Firenze non disponeva di alcun teatro
che potesse rappresentare le grandi opere liriche e altre importanti
manifestazioni musicali, decise di farne un ambiente teatrale che
rappresentasse degnamente in senso artistico la città nei confronti
delle altre grandi città europee. Il Teatro della Pergola esistente
già da circa due secoli, pur essendo uno dei più importanti teatri
italiani, aveva una struttura insufficiente per le grandi
rappresentazioni sia sotto il profilo scenico che per la capacità
contenitiva. Il Teatro Pagliano, realizzato dall'Architetto Telemaco
Bonajiuti, poteva ospitare 4000 spettatori distribuiti in platea e
nei sei ordini dei palchi. Allora, soltanto il Teatro alla Scala di
Milano poteva vantare simili caratteristiche. Fu dunque un successo
clamoroso la nascita di questo grande complesso che il pubblico non
tardò a frequentare assiduamente assistendo con passione alle
rappresentazioni delle più importanti opere del repertorio lirico.
In Ottobre, un mese dopo la inaugurazione erano già in scena il
Trovatore di Verdi, seguito dalla Norma di Bellini e da altre opere
in un susseguirsi di entusiasmanti successi. Non mancarono spettacoli
celebrativi e patriottici in occasioni di iniziative sociali e
politiche, si ricordano concerti in sostegno della spedizione
Garibaldina e quello successivo per l'Unità d'Italia. L'attività
teatrale prosegui positivamente negli anni successivi nonostante un
grosso incendio avvenuto nel 1865. Nel 1868 Girolamo Pagliano oberato
dai debiti contratti per il vizio del gioco, dovette cedere il
complesso teatrale che fu acquistato dall'impresario Giuseppe Perti.
Giuseppe
Perti, appassionato Verdiano, allestì negli anni a seguire altre
numerose opere liriche fra le quali l'Aida e l'Otello. Nel
1901
anno
della morte di Giuseppe Verdi, il Perti fortemente legato al Maestro
di Busseto, volle intitolargli il complesso teatrale che prese il
nome definitivo di
Teatro Verdi. Da allora crebbe ancor più l'intensità delle
rappresentazioni liriche, Gioconda, Fastaff, Boheme, i Lombardi sono
solo alcune delle tante messe in scena. Con l'avvento di Raffaello
Castellani, nuovo proprietario, non solo opere, ma anche operette,
commedie, e spettacoli di varietà furono inscenati nell'arco fra le
due guerre sul grande palcoscenico, lungo 17 metri. Pur subendo un
naturale rallentamento negli anni dell'ultimo conflitto mondiale,
il "Verdi" riuscì a supplire all'inagibilità del Teatro
Comunale ospitando tutte le manifestazioni musicali in esso previste.
Nel primo dopoguerra alla fine degli anni '40, il Teatro subi
importanti trasformazioni, considerate necessarie se non
indispensabili. Furono sostituite le strutture obsolete, consolidati
alcuni complessi architettonici, migliorati gli impianti acustici,
razionalizzati i posti con un migliore distribuzione della capienza
complessiva. Non mancarono importanti interventi estetici decorativi
sulla Via Ghibellina e all'interno del complesso. Dopo il restauro il "Verdi" riprese la sua attività,
incentrata sul teatro leggero: il varietà e le commedie musicali. L'inaugurazione del "nuovo teatro", avvenuta l'11
Febbraio del 1950, vide sul palcoscenico la Compagnia Grandi
Spettacoli di Wanda Osiris con la la rivista di Garinei e Giovannini:
Sogni di una notte di questa estate. In seguito a entrare in scena si
avvicendarono le Compagnie di Renato Rascel, Totò, Aldo Fabrizi,
Carlo Dapporto, Macario, Alberto Sordi, Anna Magnani, Ugo Tognazzi ed
altri artisti allora in voga. La commedia musicale non mancò di
entusiasmare il pubblico intervenuto agli spettacoli di Delia Scala,
Nino Manfredi, Gino Bramieri ed altri famosi e rinomati attori. Chi
fra i giovani di allora non si recava al botteghino, sopportando
lunghe code, per ottenere un biglietto che gli consentiva oltre al
divertimento anche la possibilità di ammirare le lunghe e tornite
gambe delle soubrette, opportunità assai rara da osservare nelle
strade cittadine, dato le lunghe e castigate gonne che le giovani
ragazze di quel tempo indossavano. Epocali furono i concerti di
Josephine Baker e Frank Sinatra, all'epoca all'apice della loro
carriera. Nel periodo successivo il Teatro programmò anche grandiosi
spettacoli cinematografici, grazie al grande schermo, unico nel suo
genere esistente in Italia. La serie si chiuse nel 1966 con il film
la Bibbia, nel quale si ricordano le bellissime ed emozionanti scene
del "Diluvio Universale" scene premonitrici, poiché pochi mesi
dopo Firenze subì la disastrosa alluvione. Dopo la pausa dovuta all'alluvione, il Teatro ha ripreso
la sua piena attività teatrale, ricalcando la sua linea storica di
varietà e commedie, e aggiungendo continue serie di balletti
classici con le più importanti compagnie del mondo. Non sono mancati
concerti di musica rock, pop e jazz e spettacolari rappresentazioni
acrobatiche teatrali come le Cirque du Soleil ed i Sonics, che
hanno entusiasmato gli spettatori accorsi fine all'inverosimile ad
assistere alle loro meravigliose performance. Dal 1988 il Teatro Verdi è passato dalla proprietà
Castellani a quella della Fondazione ORT, Orchestra Regionale Toscana
che, con i suoi concerti diretti da Maestri di indiscussa fama
internazionale, completa in maniera superba l'eccellente cartellone
del Teatro.
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