Urs Fischer in piazza Signoria

Un'immensa opera di metallo di oltre 12 metri che svetta nel centro di Piazza della Signoria. Poco più in là, due figure di cera, molto pop nei loro colori sgargianti, spiccano sull'arengario di Palazo Vecchio. Sono le creature di Urs Fisher che hanno preso possesso della centralissima piazza di Firenze. Opere molto attese (prima) e anche molto contestate (dopo), che sicuramente non passano inosservate come non hanno fatto, prima di loro, quelle di Jeff Koons e Jan Fabre che già negli scorsi anni hanno sconvolto il panorama rinascimentale della piazza.

“Big Clay”, l'imponente struttura metallica visibile con grande impatto qualsiasi sia il punto da cui si accede a Piazza della Signoria, è rappresentazione plastica della primordialità del materiale, ed anche del gesto artistico ridotto alla sua essenza. Assomiglia ai castelli di sabbia dei bambini quando, mescolando rena e acqua, creano giochi di materiali morbidi e instabili. Bella? Sicuramente d'impatto, ma per il resto, molto è demandato al gusto personale dell'osservatore. Come si dice con una citazione colta “La bellezza è nell'occhio di chi guarda”. Il contrasto con Palazzo Vecchio è sicuramente imponente, ben più della sfida già mossa dalla tartaruga di Fabre o dalla riproduzione dell'arco di Palmira.

Muovendo verso l'arengario, accanto alla struttura che ospita il cantiere di restauro del Nettuno, trovano posto le due sculture di cera – tipologia di opere che hanno reso iconica l'arte di Fischer - che piano piano, e per tutto il mese, si consumeranno col tempo e col calore. Si tratta di due figure maschili – per la precisione i due curatori di “In Florence” Francesco Bonami e Fabrizio Moretti, l'uno in piedi sopra un frigorifero socchiuso (anch'esso in cera), l'altra, parzialmente inglobata in un busto di marmo. Contrasto di colori, in questo caso, tra il bianco – del frigo, del marmo – e il color block dei vestiti e della pelle delle due figure umane. L'una di spalle alla piazza, l'altra, che la guarda dritta di fronte.

Si consumeranno piano piano, a testimonianza della caducità della natura umana, anche quando si crede eternata nell'opera d'arte. Un monito per tutti, anche per i più perplessi sulla scelta artistica compiuta.