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Evento ​Divertimenti e delitti nella Città Rossa a Sant'Ambrogio (ITINERARIO LIBERO NON GUIDATO) Piazza Sant'Ambrogio

​Divertimenti e delitti nella Città Rossa a Sant'Ambrogio (ITINERARIO LIBERO NON GUIDATO)

All'aperto, Itinerario
Piazza Sant'Ambrogio Firenze
Piazza Sant'Ambrogio

Scaduto

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Siamo sulla Piazza Sant'Ambrogio, luogo dove convergono ben cinque strade.

Sullo spigolo prospiciente Borgo la Croce possiamo notare due piccole targhe indicanti i simboli e gli emblemi della “Città Rossa”.
Volgiamo lo sguardo in alto sull'angolo opposto della via de' Macci e notiamo un tabernacolo in terracotta invetriata policroma di Giovanni della Robbia raffigurante Sant'Ambrogio.

Questo tabernacolo fu voluto dalla Potenza della Città Rossa.

Ma chi era la Potenza e, soprattutto, qual'era il significato di Città Rossa?

La Potenza era una delle tante brigate festeggianti esistenti in tutti i rioni e quartieri di Firenze. Il loro scopo era quello di organizzare attivamente feste e spettacoli per portare allegria e spensieratezza, nonché rievocazioni di carattere storico e religioso. Era organizzata dal popolo minuto residente nel quartiere, il quale eleggeva un presidente con il titolo di Gran Monarca. Si formava quindi la Signoria del Gran Monarca.
Il toponimo Città Rossa si riferisce al colore delle case di tutto il quartiere, all'epoca costruite con mattoni, prodotti dalle numerose fornaci di Via della Mattonaia.
Osservando i muri esterni dell’ex Monastero di Santa Teresa in Via della Mattonaia, fondato nel 1628 e oggi in fase di restauro, si può notare in alcuni tratti l'aspetto originario in laterizio rosso.

Imbocchiamo ora Via dei Pilastri e fermiamoci davanti al civico 4.

Dei Pilastri, di parte Guelfa, si conoscono le gesta nella battaglia di Montaperti, ma in seguito non si trovano altre tracce della loro presenza a Firenze. 
La via dei Pilastri fa però parlare di sé nella prima metà del XVII sec. in seguito a fatti avvenuti all'interno del palazzo acquistato dalla famiglia nobile dei Canacci ai primi del ‘600. 
Il settantenne Giustino Canacci rimasto vedovo, sposa la bellissima ventenne Caterina Brogi, figlia di un tintore casentinese. Naturalmente si trattava di un matrimonio combinato per denaro poiché il Canacci, oramai vecchio e trascurato, non avrebbe potuto in alcun modo attirare l'attenzione della bella fanciulla.
Gli sposi insieme ai tre figli di lui avuti dalla precedente moglie, si trasferiscono nel palazzo di Via dei Pilastri. Con il tempo, la convivenza della giovane moglie con i Canacci diviene sempre più difficile. Giustino, spesso assente o a letto malato, lascia la moglie in balìa dei figliocci e, in particolare di Bartolomeo, il quale cerca ripetutamente di sedurla. Caterina rimane fedele al marito fino a quando incontra il nobile Jacopo Salviati Duca di Giuliano e i due diventano amanti. 
Giovane, avvenente, affabile e cortese, Jacopo Salviati discendeva dalla grande famiglia che aveva dato a Firenze 63 priori e 21 Gonfalonieri. Erede del titolo di Duca ricevuto dal padre Lorenzo dopo la sua morte, era sposato per promessa con Veronica Cybo Malaspina dei Principi di Massa.
Veronica Cybo, nata nel 1611 da una famiglia dell'alta nobiltà Massese e Genovese, era molto religiosa, non bella, dal carattere difficile ed estremamente gelosa. Viene a sapere della relazione tra i due mentre si trovava dalla sua famiglia a Massa e, accertato il tradimento e conosciuto il nome della rivale, parte per Firenze per affrontarla.
Una domenica del 1633, all'uscita dalla Messa sul sagrato della Chiesa di San Pier Maggiore, la Duchessa, con piglio deciso, si porta al cospetto di Caterina con l'intenzione di farla desistere dal continuare la relazione con il marito. Caterina, sorpresa dalla personalità e dalla veemenza della rivale, è lì lì per cedere, ma la forte passione per Jacopo ha il sopravvento e respinge, quindi, l'ultimatum di Veronica non mancando anche di insultarla.
La Duchessa, accecata dall'odio, torna a palazzo e comincia a covare il desiderio di vendetta. Cercando di mantenere la calma per non trasmettere al marito il proprio stato d'animo, prepara un piano diabolico nei minimi particolari ed una volta ultimato convoca presso di sé Bartolomeo Canacci, figlioccio di Caterina, e gli espone il piano che porterà all'uccisione della rivale.

Bartolomeo Canacci, un po’ per odio verso la matrigna che più volte lo aveva respinto, un po’ per una grande quantità di denaro promesso dalla Duchessa, accetta.
Il 31 Dicembre del 1634 suona il campanello di via dei Pilastri dove si trova Caterina eccezionalmente sola con la sua anziana fantesca. La fantesca, riconoscendo il Canacci, apre la porta. Bartolomeo entra con due sicari venuti appositamente da Massa. Appena all'interno, uno dei due si getta sulla povera Caterina recidendole la testa con un deciso colpo di coltello, mentre l'altro uccide la fantesca scomoda testimone del delitto.
Mentre la testa di Caterina viene posta in una cesta e portata via da uno dei sicari, i resti dei poveri corpi delle due donne vengono poi dispersi in un pozzo posto all'inizio della vicina via dei Macci.
Come era d'uso all'epoca nelle famiglie nobili, nel giorno di Capodanno le dame facevano dono ai mariti di fine biancheria e trinati per porli sui loro abiti da cerimonia. Cosi avvenne il 1 Gennaio del 1635, quando Jacopo Salviati ricevette dalle mani di una dama di corte il regalo della moglie corredato di un biglietto di auguri sfrangiato oro.
Jacopo conoscendo la tradizione e intuendone il contenuto, rimane sorpreso dall'eccessivo peso della cesta.
Mentre si accingeva a svuotarla sentiva crescere dentro di sé un forte senso di inquietudine e disagio che non si sapeva spiegare.
Il presentimento si trasforma in realtà solo quando sotto alcuni trinati appare la testa mozzata ancora sanguinante della sua amata Caterina.
Jacopo prova un dolore cosi forte ed altrettanto odio verso la moglie che senza porre tempo in mezzo denuncia immediatamente il delitto agli “otto di guardia”. La Duchessa, una volta arrestata e condotta al Bargello, confessa le sue colpe facendo anche il nome di Bartolomeo e dei due sicari.
L'unico a pagare con la morte fu Bartolomeo Canacci al quale, una volta arrestato e processato, fu mozzato il capo sul ceppo del Bargello. I due sicari fuggiti a Massa la fecero franca non venendo mai rintracciati. 
A Veronica Cybo protetta dai Malaspina che vantavano all'epoca un enorme peso politico, non le fu comminata alcuna condanna, ma solo l'allontanamento per lungo tempo dalla città di Firenze.

Da vedere: i simboli della “Potenza della Città Rossa”, il Tabernacolo di Sant'Ambrogio, i tratti in laterizio sul muro di Santa Teresa e le targhe degli “otto di Guardia” in via della Mattonaia e il Palazzo Canacci in via dei Pilastri.

GoGo dice su Evento

Firenze Città Rossa? Ma non era viola?! Scoprite con noi a cosa ci riferiamo durante questa bella passeggiata “colorata” nel quartiere di Sant’Ambrogio, tra tabernacoli, vecchie fornaci e storie di brutali omici passionali…

Piazza Sant'Ambrogio
Indirizzo: Piazza Sant'Ambrogio, Firenze 50121




Gli eventi non sono organizzati da GoGoFirenze ma sono comunicati alla redazione o recuperati da fonti pubbliche attendibili. GoGoFirenze non è responsabile della correttezza delle informazioni né fornisce informazioni o prenotazioni, se non diversamente specificato.